domenica 18 settembre 2011

Faust di Sokurov

Per Liberareggio.org

Si è recentemente chiusa la 68° Mostra internazionale del cinema di Venezia. Il prestigioso Leone d’oro è stato assegnato al regista russo Aleksander Sokurov e al suo Faust, pellicola liberamente ispirata all’omonimo romanzo di Goethe. Se il parere espresso della giuria, ovvero che si tratta di uno di quei film in grado di cambiarvi la vita, potrà sembrarvi troppo roboante, vi assicuro che quantomeno qualche segno questo film ve lo lascerà. Ma, prima delle mie impressioni, debbo fornirvi la rituale esposizione della trama (quantomeno per rovinarvi un po’ il piacere della prima visione).


Il protagonista, il dottor Faust (Johannes Zeiler), corrisponde al prototipo dell’intellettuale ottocentesco, in cerca di ogni tipo di risposte, da quelle materiali (come attestano le crude scene iniziali della sua dissezione di un cadavere), a quelle più metafisiche. Tuttavia la fame di Faust non è soltanto conoscitiva; si ritrova pertanto costretto a rivolgersi ad un misterioso usuraio, Mauricius (Anton Adasinsky), che in realtà è l’incarnazione del diavolo Mefistofele. Nonostante l’essenza spregevole di Mauricius traspaia già dal suo corpo deforme, Faust accondiscende alle condizioni propostegli per soddisfare tutti i suoi desideri, cosicchè i due iniziano ad intraprendere delle stravaganti avventure. Una di queste però, finisce male: in una bettola, Mauricius scatena una rissa con un giovane che sarà proprio Faust ad uccidere, anche se incidentalmente. Il tutto nella più totale indifferenza del resto degli uomini, troppo dediti ai loro piaceri vinaioli.


I sensi di colpa cominciano a tormentare Faust, accresciuti dal fatto che l’uomo da lui ucciso era il fratello di Margarete, una ragazza da cui era rimasto affascinato. Tuttavia, tra l’ammissione delle proprie colpe e le tentazioni della carne, Faust, sospinto dal suo malevolo suggeritore, sceglie le seconde, non rivelando nulla alla ragazza per tentare di sedurla. Mauricius, allora, propone a Faust un’ultima offerta irresistibile: una notte in compagnia di Margarete in cambio della sua anima. Faust accetta, siglando con il proprio sangue il contratto col diavolo. E dopo aver ottenuto ciò che voleva, a Faust non resta che abbandonarsi all’ultimo, lungo viaggio col demonio dal sorprendente finale.




E’ evidente già dalla trama che chi si aspettasse da questo film i forsennati ritmi hollywodiani o il classico lieto fine rimarrà deluso. Le vicende che si susseguono sono infatti poche, ma la peculiarità della narrazione sta tutta nella descrizione dell’altalena psicologico-emotiva vissuta da Faust. In un’atmosfera lugubre e funerea, ma sempre fiabesca e sospesa nel tempo, come solo ciò che è uscito dalla penna di Goethe sa esserlo, i sensi di colpa di Faust, la fragilità, il bisogno che lo rendono facile preda del Male si affollano nella sua mente, rendendolo incapace di porre fine a tutto ciò. Per questo dicevo che il Faust di Sokurov è un film che lascia il segno: le scelte, i bivi esistenziali di Faust diventano nostri, ponendoci di fronte problemi che siamo incapaci di risolvere definitivamente, come l’angoscia della morte, il valore della nostra esistenza, il peso delle nostre responsabilità, la facilità con cui cediamo alle scorciatoie per realizzare cinicamente i nostri obiettivi, della cui vacuità ci rendiamo conto sempre troppo tardi. Non è stato dunque un caso che, al termine della proiezione, le persone che affollavano la suggestiva arena del cinema allestita per l’occasione in Campo San Polo a Venezia se ne siano andate silenziosamente e più meditabonde che mai, come se avessero assistito ad una cerimonia. Cosa non da poco, visti i tempi che corrono.