martedì 13 marzo 2012

Uscita di sicurezza

Per Terrearse.it




Non si può certo biasimare Maccio Capatonda: capire l’economia ai tempi della crisi è un’impresa. Neanch’io posso aiutarvi più di tanto; non studio economia, e appena sento parlare di spread, bot, bund o della gettonatissima flessibilità del lavoro inizio a lanciare improperi d’ogni tipo, allo stesso modo di mio nonno che, mentre guardava una partita di calcio, s’incaponiva col fantasista di turno che non passava mai il pallone. Ma al di là di questa simpatica parentesi, dietro questa mia improvvisata escursione negli spietati meccanismi dell’economia capitalistico-monopolistica c’è l’intenzione di suscitare una riflessione che vada oltre i paroloni tecnici propinatici dall’esperto di turno per superare i “singoli incidenti di percorso” dell’odierna economia azionaria. Certo, mi rendo conto che la riflessione di quarant’anni fa possa risultare un po’ ingenuotta o romantica, ma c’è da preoccuparsi se di fronte alla perenne crisi finanziaria, a cui ci siamo passivamente abituati, l’unica soluzione proposta da economisti, politici ed esperti è quella di pompare ancora di più quel circolo vizioso di produzione e consumo che ci ha portato nella situazione attuale. Altrimenti, non resta anche a noi che provare l’IM. Le seguenti considerazioni sono tratte dal Saggio sulla liberazione (Einaudi) che Herbert Marcuse scrisse nel 1969. Per ovvie ragioni di comodità ho isolato quattro punti salienti della sua riflessione: vediamo in cosa consistono e proviamo a commentarli di volta in volta.

1) Marx docet: il problema strutturale del sistema economico

Il capitalismo azionario non è mai stato immune da crisi economiche. L’enorme settore dell’economia che lavora per le “difese” non soltanto grava in maniera sempre più pesante sul contribuente, ma allontana a sua volta la risoluzione delle crisi interne al sistema. Ad esempio, l’assorbimento della disoccupazione e il mantenimento di un soddisfacente margine di profitto richiedono una stimolazione continua della domanda su scala sempre maggiore, acuendo però la moltiplicazione degli sprechi, il deterioramento pianificato, impieghi e servizi stupidi e parassitari. E il più alto tenore di vita, promosso dal crescente settore parassitario dell’economia, accrescerebbe le richieste salariali fino a un livello insopportabile per il capitale.

Punto praticamente inattaccabile: Marcuse ci ha detto, come meglio non avrebbe potuto, che l’attuale sistema economico fa acqua da tutte le parti. Non solo perché è condannato a crescere ad ogni costo, ma soprattutto perché non prevede un piano B in grado di raddrizzare le cose quando vanno male. I rischi di questo sistema poi gravano tutti sulle spalle dei soliti contribuenti, chiamati inoltre ad accollarsi le furbate (ma a loro insaputa!) degli evasori italioti.


2) I voti vanno al chilo: la non-rappresentanza della volontà popolare

Se democrazia vuol dire autogoverno di gente libera, con giustizia per tutti, allora la realizzazione della democrazia dovrebbe presupporre l’abolizione dell’attuale pseudo-democrazia. Nella dinamica del capitalismo azionario la lotta per la democrazia ha da tempo assunto forme antidemocratiche, e nella misura in cui le decisioni democratiche vengono prese in “parlamenti” a tutti i livelli, l’opposizione non potrà essere che extraparlamentare. In altre parole, la democrazia, per come la pensiamo noi, non esiste. Il governo è mantenuto da un complesso di gruppi di pressione e di organizzazioni, ovvero di interessi costituiti all’interno delle stesse istituzioni democratiche e operanti per mezzo di queste. In tal modo, le istituzioni non sono più creazioni di un popolo sovrano. La “rappresentanza” rappresenta la volontà foggiata dalle minoranze che comandano. Ed anche se l’alternativa potrebbe essere un governo di élite, ciò significherebbe soltanto la sostituzione dell’élite attualmente al potere con un’altra; e se quest’ultima dovesse essere la paventata élite intellettuale, non è detto che debba essere meno qualificata e meno minacciosa di quella attuale.

A quanto pare Marcuse conosceva già i signori Moody’s e Standard’s & Poor’s. Sono infatti le loro previsioni, assieme alle inossidabili lobby di potere, che decidono della sorte di un Paese, scoraggiando o incoraggiando i potenziali investitori. Ai governi nazionali non resta dunque che “imbellettarsi” il più possibile per evitare il down rating: ossia la bocciatura sulla salute della propria economia. Ma se lo spazio d’azione della politica è cannibalizzato dall’economia in un simile modo, quanto possono contare i progetti, le intenzioni, i valori di una linea politica rispetto ad un’altra? E soprattutto, quanto può contare la volontà popolare? La risposta ce l’abbiamo sotto agli occhi, e consiste nella sorte del povero popolo greco, stritolato prima dall’incompetenza dei propri governanti, ed ora dai diktat merkeliani.

3) Ma a me che me ne frega a me?: la mancanza di una netta presa di coscienza individuale

Il potere del capitalismo azionario ha soffocato lo sviluppo di una coscienza e un’immaginazione altamente sviluppate; i suoi mass media hanno adattato le facoltà razionali ed emotive del pubblico ai suoi mercati e alla sua politica, e le ha indirizzate alla difesa del proprio dominio. Ne segue che il cambiamento radicale che deve trasformare la società in essere una società libera deve penetrare fino ad alla dimensione “biologica” dell’esistenza: dimensione in cui si affermano i più vitali e imperativi bisogni e soddisfazioni dell’uomo. Fintanto che questi bisogni e soddisfazioni riproducono una vita di servitù, la liberazione presuppone dei cambiamenti in questa dimensione biologica, e cioè in istinti diversi, reazioni diverse del corpo come della mente. Bisogna cominciare a rifiutare le regole del gioco che viene giocato con carte truccate contro di noi, come la vecchia strategia della pazienza e della persuasione, la fiducia nella “buona volontà” dell’establishment, le sue false e immorali comodità, la sua crudele opulenza. Tuttavia si tratta di un’impresa titanica perché la società capitalistica, nata e continuamente alimentatasi sullo sfruttamento, riesce abilmente a persuaderci del fatto che i (suoi) bisogni sociali e quelli individuali siano identici; in questo modo si riproduce incessantemente un adattamento profondamente radicato, ‘organico’, del popolo a una società terribile, ma profittevole. Ma è solo dal superamento di questi limiti che dipende anche la vera realizzazione della democrazia.

È questo forse il punto più controverso. Da un lato infatti non è più così sicuro che le coscienze individuali siano livellate dai media “tradizionali” (leggasi televisione) dato che oggi disponiamo di tanti mezzi in grado di sfuggire a controlli e/o censure dall’alto (internet su tutti). Dall’altro lato però rimane vero che il circolo vizioso della produzione consumistica è ancora perfettamente in azione. L’industria continua infatti a creare, oltre che gli oggetti di consumo, anche i modelli di consumatori di cui ha bisogno, influenzandone i bisogni “biologici” (nel senso marcusiano del termine, ovvero quei bisogni che l’individuo considera fondamentali quando invece non lo sono – giusto per fare un esempio il viaggio in vacanza; l’iphone di 5° generazione; la terza macchina ecc). Inoltre, non è così facile rinunciare a tutte queste belle cose dopo un’intera esistenza passata in loro compagnia. Anzi, la maggioranza di noi è ancora ben lontana dal voler correggere le proprie abitudini.

4) Si lei è bravo, ma che possiamo fare?

L’alternativa possibile al sistema vigente non consiste in una romantica regressione a un precedente stadio di civiltà, bensì in un progredire a uno stadio di civiltà in cui l’uomo avrà imparato a domandarsi per chi e per che cosa organizza la sua società; lo stadio in cui egli controlla e magari addirittura arresta la sua lotta incessante per l’esistenza su scala più vasta, considera ciò che è stato compiuto in secoli e secoli di infelicità e di miseria e di ecatombi, e decide che ciò deve cessare, e che è ora di godere di ciò che ha e di ciò che si può riprodurre e perfezionare con un minimo di lavoro alienato: non già l’arresto o la riduzione del progresso tecnico, ma l’eliminazione di quegli aspetti di esso che perpetuano la soggezione dell’uomo all’apparato e l’intensificazione della lotta per l’esistenza – lavorare di più per potere acquistare più merci che devono essere vendute. Ma che cosa dovranno fare gli uomini in una società libera? La risposta secondo me più pertinente è stata data da una giovane ragazza: per la prima volta in vita nostra, saremo liberi di pensare a ciò che dovremo fare.

La conclusione, inutile dirlo, non risponde alla domanda. È senza dubbio vero, come sostiene Marcuse, che disponiamo di tutti i mezzi necessari per porre fine allo sfruttamento individuale e le prevaricazioni sociali, ma ciò che manca è la volontà condivisa di realizzare questo proposito. E non soltanto nelle intenzioni di chi gestisce il potere, ma anche di chi vi è sottoposto ed è riuscito in qualche modo a ritagliarsi un piccolo “tesoretto” di privilegi e comodità. Certo, è sempre meglio lasciare aperta la porta alla speranza di un cambiamento. Speriamo però che non sia proprio questa speranza a fregarci e a non intaccare lo status quo attuale.