lunedì 15 ottobre 2012

De egoismus pt.2


Nell’ultimo intervento abbiamo esaminato il primo di due concetti apparentemente inconciliabili, l’individuo (rappresentato dal grido dell’Unico stirneriano) e, dall’altro lato, la collettività a cui questi, volente o nolente, fa parte. In conclusione alla disamina dello Stirner-pensiero ci siamo però permessi di sollevare un dubbio sulle conclusioni del filosofo, riassumibile con la seguente domanda: le esigenze dell’individuo e le istanze della società sono davvero agli antipodi? Non potrebbe invece esistere un’“area di convergenza” in cui entrambi possano compenetrarsi proficuamente?

Un filosofo convinto di quest’ultima ipotesi è Spinoza. Nella quinta parte della sua celebre Ethica more geometrico demonstrata egli va proprio alla ricerca di una formula geom-et(r)ica che gli permettesse di prefigurare una libera repubblica in cui gli uomini potrebbero vivere ed operare in perfetta sintonia. Ma, ben lungi dall’essere una fredda ricerca geometrica, quella di Spinoza è una riflessione animata da una profonda convinzione. Convinzione ravvisabile in un piccolo dettaglio che, una volta focalizzato, ci schiude il senso dell’Etica: "Sentiamo e sperimentiamo che noi siamo eterni" (scolio alla prop.23, parte quinta). Anziché utilizzare la prima persona Spinoza, ogniqualvolta parla dell’uomo, usa il ‘noi’ perché l’individualità di chi esercita la migliore parte di se stesso, la ragione, è un’individualità che travalica i limiti del proprio corpo per estendersi a tutta l’umanità.

Ora, direte voi, ci risiamo con il solito predicozzo morale secondo cui ognuno di noi dovrebbe disinteressatamente annullarsi in favore degli altri per realizzare un mondo migliore ecc ecc. Tuttavia, se pensate che Spinoza voglia pervenire a questo risultato, siete fuori strada. Lascio allora che sia lo stesso filosofo a convincervi con alcune delle sue inappellabili proposizioni, limitandomi a commentarle brevemente dove necessario.


Parte quarta; prop. 20: "Quanto più uno si sforzi di ricercare il proprio utile, ossia di conservare il proprio essere, e sia in grado di farlo, tanto più è fornito di virtù; e, al contrario, quanto più uno trascuri il proprio utile, ossia trascuri di conservare il proprio essere, tanto più è un debole”.

Da evidenziare è innanzitutto il binomio utile-virtù: Spinoza non vuole dirci che per essere virtuosi dobbiamo liberarci di ogni remora nel ricercare ciò che impulsivamente riteniamo possa esserci utile. La ricerca del mio utile non può mai essere svincolata dall’esercizio della ragione la quale, per sua stessa natura, mi induce a perseguire qualcosa che sia utile allo stesso tempo per me e per gli altri. A questo punto sorge spontanea un’obiezione: guardando allo sfacelo quotidiano ch’è la nostra società (per non parlare della classe politica), Spinoza non si appella forse con troppa fiducia alla capacità dei singoli di perseguire il proprio utile seguendo la ragione e non gli istinti o le passioni?

Certamente Spinoza non nasconde a sé stesso questo gravoso problema. Anzi, si può dire che proprio per questo motivo scrisse l’Etica. Nello scolio della prop.35 della quarta parte (dall’eloquente titolo de La servitù dell’uomo, ovvero la forza delle emozioni) il filosofo olandese scrive:

“Accade tuttavia di rado che gli uomini vivano secondo la guida della ragione; anzi, per lo più sono inclini ad essere invidiosi  gli uni degli altri ed ostili gli uni agli altri. Ciononostante, è difficile che vivano in solitudine, talché è piaciuta a molti la definizione dell’uomo come animale sociale; ed effettivamente le cose stanno in maniera tale che dalla comune società degli uomini traggano molti più vantaggi che danni. Deridano dunque le cose umane, quanto vogliono, i satirici; le detestino i teologi; e i malinconici elogino, quanto più possono, una vita incolta e agreste, e magari ammirino i bruti, per disprezzo degli uomini; tuttavia, faranno pur esperienza, anche loro, di come, aiutandosi gli uni con gli altri, gli uomini possano procurarsi molto di più facilmente ciò di cui hanno bisogno, e di come solo unendo le loro forze possano evitare i pericoli che incombono dappertutto”.


Dunque, ribadisce nel corollario della stessa proposizione Spinoza, “nell’intera natura non si dà alcunché di singolo che sia più utile, ad un uomo, che un uomo che viva secondo la guida della ragione. Infatti, ad un uomo è massimamente utile quanto s’accordi con la sua natura, ossia un altro uomo stesso”. Smentendo nettamente l’homo homini lupus declamato da Hobbes, Spinoza ritiene che l’uomo illuminato dalla ragione rappresenti per l’altro uomo il meglio che possa esserci in natura (“Homo homini deus”) e che la ragione per cui sorse la società civile sia stata non la paura della violenza reciproca, bensì la paura della solitudine. Così Spinoza ci invita a far leva su questa seconda paura per “convertire” gli ignoranti che, perseguendo con ogni mezzo i più bassi scopi, non si rendono conto di danneggiare per primi loro stessi.

Tuttavia, sappiamo molto bene, non c’è peggior sordo di chi non voglia sentire. E Spinoza si rende conto, molto realisticamente, che la strada di questa ‘conversione universale’ degli ignoranti alla ragione è tremendamente in salita, soprattutto perché tanti di questi prepotenti detengono le leve del potere politico. Tant’è che la prop. 70 della quarta parte così recita:

Un uomo libero che viva tra ignoranti cerca d’evitare, per quanto possa, di riceverne favori.

Dimostrazione. Ognuno giudica che cosa sia bene secondo la sua maniera di sentire. Quindi, un ignorante che abbia fatto un favore a qualcuno, lo valuterà secondo la sua maniera di sentire, e si rattristerà se lo vedrà valutato di meno da colui a cui l’abbia recato. Un uomo libero, invece, cerca di legare a sé gli altri per amicizia; e, anziché contraccambiare favori in maniere che gli altri giudichino equivalenti in base alle loro emozioni, cerca di guidare sé e gli altri  secondo il libero giudizio della ragione e di fare solo quanto sappia essere più importante. Quindi, un uomo libero, per non essere in odio agli ignoranti, ma neppure obbedire ai loro appetiti, bensì solo alla ragione, cercherà, per quanto possa, d’evitare di ricevere favori da parte loro.

Scolio. Dico per quanto possa; ché, anche se gli altri siano ignoranti, tuttavia sono pur sempre uomini, e in casi di necessità possono apportare un aiuto umano, del quale niente è più prezioso; e pertanto accade spesso che sia necessario accogliere un favore pur dagli ignoranti, e di conseguenza, in contraccambio, esserne loro grati secondo la sua maniera di sentire. A ciò s’aggiunge che anche nell’evitare favori da parte di altri, si deve avere la cautela di non sembrare di disprezzarli, o di temere per avarizia di doverli ricompensare, perché così, mentre si cerchi d’evitare d’esserne odiati, si passerebbe ad offenderli. Per cui, nell’evitare favori, è da seguire il criterio di quanto sia utile e di quanto onesto”.