lunedì 3 febbraio 2014

Un amaro

Leggere Cioran è per me come bere un amaro. Ne conosco in anticipo il sapore sferzante, ma allo stesso tempo so che ne vorrò un altro, e un altro ancora.


Nell'ordine dello spirito, ogni produzione priva di necessità è un peccato contro lo spirito. Lo scrittore in quanto tale si trova in stato di peccato mortale.


Nei paesaggi che amiamo le nostre infermità assumono un colore diverso. Qui l'insonnia non è un male, ma soltanto una certa impossibilità.


Non ho conosciuto nessuna gioia che non abbia, in un modo o nell'altro, espiato.
(Ho espiato ogni gioia, ho pagato per ogni piacere. Sono pari con la sorte, ho saldato tutti i conti con Dio).


Ascoltare il vento dispensa dalla poesia, è poesia.


Poiché non sappiamo quanto ci resta da vivere, il dovere verso noi stessi ci impone di fare solo ciò che interessa particolarmente il nostro essere. Non ricerche: ma cercare prima di tutto noi stessi. Che importano gli altri! E' dal centro di noi stessi che potremo risolvere i loro problemi, ammesso che si possano risolvere i problemi altrui.
D'altronde quaggiù nulla è risolto, perché nessuno si prende la briga di sapere a che punto è rispetto a se stesso.


Ci vogliono compensazioni ai nostri dolori. E non c'è niente di più triste che affrontare delle prove in uno scenario qualunque.


Acquistiamo in coscienza ciò che perdiamo in esistenza. Quello che i nostri mali ci fanno perdere in essere lo acquistiamo in coscienza.
Il vuoto che le nostre infermità suscitano nel nostro essere è colmato dalla presenza della coscienza, anzi, questo vuoto è la coscienza stessa.


Avere genio significa riuscire a digerire le influenze fino a farne perdere le tracce.


24 Agosto. Talamanca. Andare un'ultima volta a contemplare il tramonto dal mulino a vento. Nessuno nei paraggi, silenzio. Il cielo e il mare. Ibiza di fronte. [...] Vivere lontano dal Mediterraneo è un errore. Come ho potuto per tanto tempo sacrificare al pregiudizio del Nord? Tutte le mie sventure, diciamo delusioni, vengono da lì.


Mentre facevo ogni sorta di amare riflessioni, guardavo quei pini, quelle rocce, quelle onde 'visitate' dalla luna, e improvvisamente ho sentito fino a che punto sono inchiodato a questo bell'universo maledetto.


"Non posso fare distinzione tra la musica e le lacrime" (Nietzsche). Chi non lo capisce istantaneamente non ha mai vissuto nell'intimità della musica. Ogni vera musica è sgorgata dalle lacrime, nata com'è dal rimpianto del paradiso.


La morte non ha senso se non per coloro che hanno amato appassionatamente la vita. Morire senza avere niente da lasciare! Il distacco è negazione della vita come della morte. Chi ha vinto la paura di morire ha anche trionfato della vita, che è solo l'altro nome di questa paura.
I vagabondi, che si rifiutano di morire nel loro letto, si potrebbe dire che non muoiano affatto. Si muore soltanto distesi, in quella lunga preparazione con la quale chi vive sconta, goccia a goccia, la propria morte. Quando non c'è niente che ci leghi a un posto, che rimpianti si possono avere negli ultimi istanti?


Soltanto il paradiso o il mare potrebbero farmi rinunciare alla musica.


Chi ha vinto la paura di morire può credersi immortale, ma chi non la conosce lo è. La paura è una morte di ogni istante.


Si crede in Dio soltanto per evitare il monologo tormentoso della solitudine.


Troppo manchiamo di saggezza per non amare il destino con dolorosa passione.


Avrò in me abbastanza musica da non scomparire mai? Vi sono adagi dopo i quali non si può imputridire.


Il vino ha fatto più della teologia per avvicinare gli uomini a Dio.


Credere nella filosofia è segno di buona salute. Non lo è, invece, mettersi a pensare.


Ci incuriosiscono tra i filosofi soltanto quelli che, esasperati dei sistemi, sono partiti alla ricerca della felicità. Nascono così le filosofie crepuscolari, più consolanti delle religioni perché ci liberano da ogni interdetto.


Che la musica non sia in alcun modo di essenza umana ne è prova il fatto che essa non suscita mai la rappresentazione dell'inferno. Nemmeno le marce funebri ci riescono. L'inferno è un attualità, e questo significa che noi serbiamo memoria soltanto del paradiso.


Capire i poeti è una grande maledizione, perché ci insegnano a non avere più niente da perdere.


Tra il niente e Dio c'è meno di un passo, perché Dio è l'espressione positiva del niente.


Ogni ricordo è un sintomo malsano. La vita come stato puro, come fenomeno non alterato, è attualità assoluta. La memoria è negazione dell'istinto e la sua ipertrofia una malattia incurabile.


Chi non pensa a Dio rimane estraneo a se stesso.


La meditazione musicale dovrebbe essere il prototipo del pensiero in genere. Soltanto nella musica si dà un pensiero compiuto. Dopo aver letto i filosofi più profondi sentiamo il bisogno di ricominciare da zero. Soltanto la musica ci dà risposta definitive.


Esiste, in arte, un criterio che non sia l'avvicinarsi al cielo?


I bambini, come gli amanti, hanno il presentimento dei limiti della felicità.


Avere sempre amato le lacrime, l'innocenza e il nichilismo. Gli esseri che sanno tutto e quelli che non sanno niente. I falliti e i bambini.


Il fallimento è un parossismo della lucidità; il mondo diventato trasparente all'occhio implacabile di chi, chiaroveggente e sterile, non aderisce più a niente. Anche se incolto, il fallito sa tutto, vede attraverso le cose, smaschera e annulla l'intera creazione.


Perché si è voluto a ogni costo aggiungere qualcosa all'Ecclesiaste che contiene già tutto? Anzi, ciò che non è nell'Ecclesiaste è inficiato di errore. "Allora il mio cuore si è rivolto verso la disperazione. Verso la verità.
Una saggezza eccessiva accresce la nostra amarezza e troppo sapere aumenta la nostra sofferenza".
L'Ecclesiaste è un'esibizione, una rivelazione di verità alle quali la vita, complice di tutto ciò che è 'vano', resiste con accanimento estremo.


"La sofferenza è la causa unica e sola della coscienza" (Dostoevskij). Gli uomini si dividono in due categorie: quelli che lo hanno capito, e gli altri.


Quando siamo per strada il mondo sembra più o meno esistere. Ma se guardiamo dalla finestra, tutto diventa irreale. Com'è possibile che la trasparenza di un vetro basti a separarci fino a questo punto dalla vita? In realtà, una finestra ci allontana dal mondo più del muro di una prigione. A forza di guardare la vita, si finisce per dimenticarla.


Più leggo i pessimisti, più amo la vita. Dopo una lettura di Schopenhauer reagisco come un fidanzato. Schopenhauer ha ragione di sostenere che la vita è soltanto un sogno. Ma dà prova di grave incoerenza quando, invece di incoraggiare le illusioni, le smaschera facendo credere che al di là di esse ci sia qualcosa.
Chi potrebbe sopportare la vita se fosse reale? Sogno, essa è una mescolanza di terrore e di incantamento alla quale si cede.


Leggere giorno e notte, divorare tomi su tomi, questi sonniferi, perché nessuno legge per imparare ma per dimenticare, risalire alla fonte dell'umor nero esaurendo il divenire e le sue fissazioni!


In mezzo alla gente civile mi scopro come un intruso, come un troglodita innamorato della caducità, sprofondato in preghiere sovversive, in preda a un panico che non emana da una visione del mondo, ma dagli spasmi della carne e dalle tenebre del sangue.