Descrivere un disco come
The Music of Carla Bley (pubblicato dall'encomiabile etichetta nusica.org e scaricabile gratuitamente al link) esige una premessa. Volendo improvvisarmi ''titolista'' per un attimo potrei dare a questa recensione il sottotitolo: ''Un disco per una rinascita dell'arte
dell'ascoltare''. Ammetto subito che non si tratta di farina del mio sacco. Ecco la vera storia di questo titolo:
''Camminavo
un giorno lungo il lago di Silvaplana attraverso i boschi; presso una
possente roccia che si levava in figura di piramide, vicino a Surlei,
mi arrestai. Ed ecco giunse a me quel pensiero -. Se torno indietro
di un paio di mesi da quel giorno, trovo come segno premonitore un
cambiamento improvviso, profondo, decisivo del mio gusto, soprattutto
in fatto di musica. Forse si può considerare come musica tutto lo
Zarathustra; e certamente un suo presupposto fu la rinascita
nell'arte dell'ascoltare'' (F. Nietzsche, Ecce Homo, p. 344)
Non
vorrei sembrare azzardato ma, così come per leggere Così parlò Zarathustra bisogna spogliarsi delle normali consuetudini del lettore ''linear-logico-occidentale'', analogamente, per accostarsi al
disco di Andrea Massaria e Bruce Ditmas, bisogna mettere da parte
le aspettative dell'ascoltatore ''ben educato dal mercato del jazz''.
Massaria
e Ditmas, come due sfrontati Zarathustra, si inerpicano
per i pericolosi sentieri dell'improvvisazione nella sua accezione più ampia possibile. Forti delle loro identità stilistiche e di sonorità ben riconoscibili, i due prendono spunto da alcuni temi firmati da Carla
Bley per dare vita ad un esaltante dialogo all'insegna di un densissimo, quasi estenuante interplay. Estenuante
perché l'attenzione e l'interazione reciproche sono tali da rendere ostico l'accesso ad un ascoltatore non preparato. Chiunque si aspetti
da questo disco un omaggio ''filologicamente corretto'' alla Bley, non potrà che restare deluso. Chi invece ha
voglia di accogliere le fulminanti intuizioni del duo può dirsi a metà dell'opera.
Ma cosa intendeva realmente Nietzsche per
''rinascita dell'arte dell'ascoltare''? È il filosofo stesso
a chiarirlo quando spiega di non esser stato lui ad aver progettato e scritto quell'opera inaudita come Così
parlò Zarathustra, ma che essa si compì ''da sola'',
grazie ad una fulminea ed irresistibile ispirazione. Nietzsche descrive magistralmente questo stato d'animo e cosa esso provoca in chi è disposto ad assecondarlo:
''Si
ode, non si cerca; si prende, non si domanda da chi ci sia dato; un
pensiero brilla come un lampo, con necessità, senza esitazioni nella
forma – io non ho mai avuto scelta. Tutto avviene in modo
involontario al massimo grado, ma come in un turbine di senso di
libertà, di incondizionatezza, di potenza, di divinità. Tutto si
offre come l'espressione più vicina, più giusta, più semplice''
(Ecce Homo, p. 348-9)
Sono
sicuro che parole simili suoneranno familiari alle orecchie di improvvisatori estremi come Massaria e
Ditmas, due musicisti che hanno fatto della
ricerca più libera, del superamento di qualsiasi etichetta
o definizione la loro ragion d'essere.
Il
disco si apre con Ida Lupino, uno dei migliori temi della Bley per lirismo e respiro. Massaria lascia scorrere
dolcemente le note della melodia, senza ricorrere ad altro. Ditmas si muove con discrezione negli spazi lasciati dalla chitarra senza mai prevaricarla, e
lo fa con un formidabile lavoro contrappuntistico su piatti e
rullante. Come due monaci buddhisti, Massaria e Ditmas improvvisano senza accumulare caoticamente nuovi materiali, bensì togliendo il superfluo, riducendo così il loro dialogo
all'essenziale. Massaria sviluppa il suo fraseggio attraverso una lunga successione di intervalli e senza cadere nella tentazione di
riempire gli inevitabili vuoti lasciati dall'assenza del
contrabbasso. Ditmas invece continua a dilatare e mischiare tra loro
le sonorità dei soli piatti e rullante. Il brano si conclude col
naturale ritorno del tema, eseguito ancora senza alcun orpello inutile.
Se
in Ida Lupino il duo si era dimostrato fedele interprete del
tema bleyano, ecco che in And now the Queen il loro zampino inizia ad emergere. Massaria, ricorrendo all'effettistica che ha reso inconfondibile il suo sound, cambia
l'intenzione ritmica del tema in un fast swing stralunato ed
ossessivo; Ditmas gli risponde per le rime con un fraseggio
sull'intero set da cui emergono talvolta dei frammenti di ostinato
swing, subito spezzati e ricombinati liberamente. Lo
scambio di idee tra i due è repentino, basti citare
come Massaria riprenda ed allarghi l'idea
ritmica lanciata da Ditmas al minuto 2.17.
Anche
Olhos de gato, ballad
dal retrogusto tangheiro, viene trasfigurata dal duo in chiave
personale: Massaria torna a sonorità più scure e lascia che
riverberi ed effetti si accumulino sotto la melodia creando una fitta nube sonora. Ditmas passa alle spazzole, producendo un delicato ''rumore bianco'' che sostiene ed esalta il fraseggio scarno ed
enigmatico del chitarrista. I due dimostrano nuovamente
come la libera improvvisazione sia l'esatto opposto di quanto pensano i suoi detrattori: la valorizzazione del respiro e del silenzio,
l'essenzialità e la concentrazione su pochi elementi rendono unica
ed irripetibile la loro esecuzione. Il chitarrista triestino rivela inoltre la sua curiosità portando la propria proposta musicale verso direzioni inconsuete: bordoni, loop, effetti si
accavallano gradualmente, generando piani sonori affascinanti e lontani anni luce dal solito fraseggio post-bop proposto
dalla maggior parte dei chitarristi alla ribalta nel jazz contemporaneo.
In Vashkar la ricerca effettistica di Massaria continua, prendendo una direzione più noisy. Anche gli spunti di Ditmas si
fanno più nervosi e scattanti: passato ai mallets, il batterista alterna rapidi crescendo sui piatti ad oscuri e
scattanti fill sui tamburi. Massaria accoglie subito l'invito di
Ditmas verso una direzione più nervosa ed increspata, ritornando agli stilemi che caratterizzano il suo sound.
In
Utviklingssang
il
duo torna ad un'esecuzione scarna ed essenziale: Massaria esegue il tema in pulito, analogamente a quanto fa Steve Swallow col
celebre trio della Bley. Ditmas riduce ulteriormente il suo spazio
sonoro percuotendo con le mani i tamburi, mentre il chitarrista
lascia che distorsioni elettroniche e loop si intromettano con
l'andamento della melodia, valorizzandola per contrasto. Dal minuto
3.26 il fraseggio di entrambi si fa sempre più spigoloso, quasi a rimarcare la comune volontà di forzare e rompere le convenzioni dell'improvvisazione jazzistica. Il ritorno del
tema riporta in auge le atmosfere oscure e sospese tanto care a
Carla Bley.
Il
tema di Batterie viene lanciato da uno strepitoso Ditmas. Impressionante è la
capacità del batterista di coniugare nel suo drumming spunti lirico-melodici con il fraseggio più concitato e libero del free
''vecchio stile''.
Massaria si unisce all'esecuzione del tema, per poi tuffarsi in una violenta improvvisazione in cui Ditmas continua ad alzare
l'asticella della tensione ritmica. Il chitarrista gli
risponde mettendosi in contrapposizione, ossia optando per linee melodiche ''liquide'' e poi sempre più fluttuanti ed
oscure. La chiusura del disco è affidata al batterista ed alle sue
esplosioni sui piatti.
The
music of Carla Bley è
un disco profondo che presenta molteplici chiave di lettura e di
ascolto: la dimensione ''piratesca'' che lascia libero sfogo agli
intrepidi Massaria e Ditmas è solo una delle tante. Oltre ad essa il tema dell'ascolto reciproco e dell'interplay è un altro importante elemento. Grazie alla condivisione di intenti ed interessi i due hanno dato consistenza ad una formazione apparentemente povera ma che, proprio per la sua
essenzialità, si rivela continuamente cangiante ed irrequieta. Infine bisogna citare l'inaspettata ricerca lirica e melodica di due musicisti eccezionali, due preziosi ed instancabili improvvisatori da tenere sott'occhio nello statico panorama jazzistico italiano.