Nell’ultimo intervento abbiamo esaminato il primo di due
concetti apparentemente inconciliabili, l’individuo (rappresentato dal grido
dell’Unico stirneriano) e, dall’altro
lato, la collettività a cui questi, volente o nolente, fa parte. In conclusione
alla disamina dello Stirner-pensiero ci siamo però permessi di sollevare un
dubbio sulle conclusioni del filosofo, riassumibile con la seguente domanda: le
esigenze dell’individuo e le istanze della società sono davvero agli antipodi?
Non potrebbe invece esistere un’“area di convergenza” in cui entrambi possano
compenetrarsi proficuamente?
Un filosofo convinto di quest’ultima ipotesi è Spinoza. Nella
quinta parte della sua celebre Ethica
more geometrico demonstrata egli va proprio alla ricerca di una formula
geom-et(r)ica che gli permettesse di prefigurare una libera repubblica in cui
gli uomini potrebbero vivere ed operare in perfetta sintonia. Ma, ben lungi
dall’essere una fredda ricerca geometrica, quella di Spinoza è una riflessione
animata da una profonda convinzione. Convinzione ravvisabile in un piccolo dettaglio
che, una volta focalizzato, ci schiude il senso dell’Etica: "Sentiamo e sperimentiamo che noi siamo eterni" (scolio alla prop.23, parte
quinta). Anziché utilizzare la prima persona Spinoza, ogniqualvolta parla
dell’uomo, usa il ‘noi’ perché l’individualità di chi esercita la migliore
parte di se stesso, la ragione, è un’individualità che travalica i limiti del
proprio corpo per estendersi a tutta l’umanità.
Ora, direte voi, ci risiamo con il solito predicozzo morale
secondo cui ognuno di noi dovrebbe disinteressatamente annullarsi in favore
degli altri per realizzare un mondo migliore ecc ecc. Tuttavia, se pensate che Spinoza
voglia pervenire a questo risultato, siete fuori strada. Lascio allora che sia lo
stesso filosofo a convincervi con alcune delle sue inappellabili proposizioni,
limitandomi a commentarle brevemente dove necessario.
Parte quarta; prop. 20: "Quanto più uno si sforzi di ricercare il
proprio utile, ossia di conservare il proprio essere, e sia in grado di farlo,
tanto più è fornito di virtù; e, al contrario, quanto più uno trascuri il
proprio utile, ossia trascuri di conservare il proprio essere, tanto più è un
debole”.
Da evidenziare è innanzitutto il binomio utile-virtù: Spinoza
non vuole dirci che per essere virtuosi dobbiamo liberarci di ogni remora nel
ricercare ciò che impulsivamente riteniamo possa esserci utile. La ricerca del
mio utile non può mai essere svincolata dall’esercizio della ragione la quale,
per sua stessa natura, mi induce a perseguire qualcosa che sia utile allo
stesso tempo per me e per gli altri. A questo punto sorge spontanea
un’obiezione: guardando allo sfacelo quotidiano ch’è la nostra società (per non
parlare della classe politica), Spinoza non si appella forse con troppa fiducia
alla capacità dei singoli di perseguire il proprio utile seguendo la ragione e
non gli istinti o le passioni?
Certamente Spinoza non nasconde a sé stesso questo gravoso problema.
Anzi, si può dire che proprio per questo motivo scrisse l’Etica. Nello scolio della prop.35 della quarta parte (dall’eloquente
titolo de La servitù dell’uomo, ovvero la
forza delle emozioni) il filosofo olandese scrive:
“Accade tuttavia di
rado che gli uomini vivano secondo la guida della ragione; anzi, per lo più
sono inclini ad essere invidiosi gli uni
degli altri ed ostili gli uni agli altri. Ciononostante, è difficile che vivano
in solitudine, talché è piaciuta a molti la definizione dell’uomo come animale
sociale; ed effettivamente le cose stanno in maniera tale che dalla comune
società degli uomini traggano molti più vantaggi che danni. Deridano dunque le
cose umane, quanto vogliono, i satirici; le detestino i teologi; e i
malinconici elogino, quanto più possono, una vita incolta e agreste, e magari
ammirino i bruti, per disprezzo degli uomini; tuttavia, faranno pur esperienza,
anche loro, di come, aiutandosi gli uni con gli altri, gli uomini possano
procurarsi molto di più facilmente ciò di cui hanno bisogno, e di come solo
unendo le loro forze possano evitare i pericoli che incombono dappertutto”.
Dunque, ribadisce nel corollario della stessa proposizione
Spinoza, “nell’intera natura non si dà
alcunché di singolo che sia più utile, ad un uomo, che un uomo che viva secondo
la guida della ragione. Infatti, ad un uomo è massimamente utile quanto
s’accordi con la sua natura, ossia un altro uomo stesso”. Smentendo nettamente
l’homo homini lupus declamato da
Hobbes, Spinoza ritiene che l’uomo illuminato dalla ragione rappresenti per
l’altro uomo il meglio che possa esserci in natura (“Homo homini deus”) e che la ragione per cui sorse la società civile
sia stata non la paura della violenza reciproca, bensì la paura della
solitudine. Così Spinoza ci invita a far leva su questa seconda paura per
“convertire” gli ignoranti che, perseguendo con ogni mezzo i più bassi scopi,
non si rendono conto di danneggiare per primi loro stessi.
Tuttavia, sappiamo molto bene, non c’è peggior sordo di chi
non voglia sentire. E Spinoza si rende conto, molto realisticamente, che la
strada di questa ‘conversione universale’ degli ignoranti alla ragione è
tremendamente in salita, soprattutto perché tanti di questi prepotenti
detengono le leve del potere politico. Tant’è che la prop. 70 della quarta
parte così recita:
“Un uomo libero che viva tra ignoranti cerca d’evitare, per quanto
possa, di riceverne favori.
Dimostrazione. Ognuno
giudica che cosa sia bene secondo la sua maniera di sentire. Quindi, un ignorante
che abbia fatto un favore a qualcuno, lo valuterà secondo la sua maniera di
sentire, e si rattristerà se lo vedrà valutato di meno da colui a cui l’abbia
recato. Un uomo libero, invece, cerca di legare a sé gli altri per amicizia; e,
anziché contraccambiare favori in maniere che gli altri giudichino equivalenti
in base alle loro emozioni, cerca di guidare sé e gli altri secondo il libero giudizio della ragione e di
fare solo quanto sappia essere più importante. Quindi, un uomo libero, per non
essere in odio agli ignoranti, ma neppure obbedire ai loro appetiti, bensì solo
alla ragione, cercherà, per quanto possa, d’evitare di ricevere favori da parte
loro.
Scolio. Dico per
quanto possa; ché, anche se gli altri
siano ignoranti, tuttavia sono pur sempre uomini, e in casi di necessità
possono apportare un aiuto umano, del quale niente è più prezioso; e pertanto
accade spesso che sia necessario accogliere un favore pur dagli ignoranti, e di
conseguenza, in contraccambio, esserne loro grati secondo la sua maniera di
sentire. A ciò s’aggiunge che anche nell’evitare favori da parte di altri, si
deve avere la cautela di non sembrare di disprezzarli, o di temere per avarizia
di doverli ricompensare, perché così, mentre si cerchi d’evitare d’esserne
odiati, si passerebbe ad offenderli. Per cui, nell’evitare favori, è da seguire
il criterio di quanto sia utile e di quanto onesto”.
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