domenica 18 luglio 2010

Watzlawick, istruzioni per rendersi infelici

Perchè mai dovreste ricercare l'infelicità? Perchè l'uomo è infelice quando non sa di essere felice. Chi lo comprende sarà subito felice, immediatamente nello stesso istante... (F.M. Dostoevskij)
Perchè dovreste leggere questo mio intervento? Perchè l'eudaimonia, ovvero la ricerca della felicità che ci viene propinata quotidianamente da tv,manuali di psicologia, persino temi della maturità scolastica è una menzogna bell'e buona. E Paul Watzlawick, così come Dostoevskij, questo lo sa: 'E' giunta l'ora di farla finita con la favola millenaria secondo cui la felicità, beatitudine e serenità sono mete desiderabili della vita. Troppo a lungo ci è stato fatto credere, e noi ingenuamente abbiamo creduto, che la ricerca della felicità conduca infine alla felicità. Al nostro mondo, che rischia di essere sommerso da una marea di istruzioni per essere felici, non si può rifiutare più a lungo un salvagente'.

La felicità intesa come una meta salda e definitiva della nostra esistenza, a cui poter giungere un giorno e sentirci assolutamente soddisfatti e paghi, non esiste e non può esistere. Fa parte della nostro modo di vivere, incontentabile, insaziabile ed in continua trasformazione. Ma soprattutto, ciò che ci avvince della felicità come meta non è il fatto di poterla un giorno raggiungere, ma proprio la sua lontananza, la speranza di poterci arrivare. Watzlawick affronta questo concetto cruciale quando parla dell' attenzione all'arrivare. Citando George Bernard Shaw, egli scrive: 'Nella vita esistono due tragedie. La prima è la mancata realizzazione di un intimo desiderio, l'altra è la sua realizzazione'. Questo perchè 'la strada del successo è faticosa, sia perchè è necessario applicarsi molto, sia perchè anche sforzandosi intensamente si può fallire'. Allora che fare? O accontentarsi, optando per un successo 'a piccoli passi', o scegliersi una meta straordinariamente elevata, consapevoli dell'alto rischio di fallimento ma anche della possibile, immensa, soddisfazione.

Ma per Watzlawick essenziale è, prima di ogni cosa, evitare di illudersi. Per questo egli ci fornisce una serie di consigli, non richiesti dai più, per raggiungere l'infelicità: essere fedeli a se stessi, ovvero non arretrare mai di fronte ai propri principi anche quando tutto il mondo va dalla direzione opposta; esaltare il proprio passato come luogo di felicità e spensieratezza; crearsi accorgimenti per non affrontare o, quantomeno, rimandare il confronto con i propri problemi; credere negli oroscopi e nelle profezie fatalistiche; sprofondarsi nelle contraddizioni delle relazioni amorose (esilarante è a tal proposito l'illusione delle alternative: se il proprio partner fa A, avrebbe dovuto fare B, e se fa B, avrebbe dovuto fare A); innamorarsi di persone per noi inarrivabili; vivere la vita come un gioco la cui prima regola è: non conoscere le regole del gioco.

'Il principio fondamentale secondo cui il gioco non è un gioco ma una cosa molto seria fa della vita un gioco senza fine, che solo la morte conclude. E qui - come se ciò non fosse già abbastanza paradossale - c'è la seconda assurdità: l'unica regola che può far terminare questo gioco molto serio non è di per sè una delle sue regole'. La nostra esistenza, la sua paradossalità.

4 commenti:

  1. Se riesco a sopportare la vita, e a sopportarmi, è più che altro grazie al fatto che la considero e in fondo l'ho sempre considerata come un gioco assurdo e grottesco.
    Se l'avessi presa sul serio, mi sarei già suicidato.

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  2. Condivido parzialmente i presupposti ma non certi passaggi e in parte neanche le conclusioni.
    Perché rinunciare alle illusioni? Vedi Leopardi, era un grande "fan" delle illusioni. E' stato un grande poeta, secondo me, perché ha assunto fino in fondo la contraddizione della vanità della vita e della necessità e della bellezza di illudersi. Per la serie "ci resta solo quello". E lui anche capì quello che al contempo scrivi: ci importa più il processo del desiderare, vedi Madame Bovary, l'esempio assoluto dell'irresistibilità di questo processo.
    I consigli finali che citi per me sono tristissimi. Smascherare le illusioni, e vedere in ciò un momento chiave, secondo me è problematico. Horkheimer e Adorno (che molto probabilmente non ti sono ignoti) hanno visto giusto in questo: la storia dell'Occidente è la storia di un progressivo disilludere autodistruttivo; questo costante e progrediente disilludere (la "dialettica dell'illuminismo") è a sua volta illusione, che oggi prende le forme di un positivismo che fa dei fatti nudi e crudi dei miti. Pensaci.
    Denise

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  3. Cara Denise,
    intanto ti ringrazio per il tuo prezioso intervento. Mi rendo conto che i consigli finali possono risultare contradditori..molto probabilmente non sono riuscito a lasciar trasparire quel velo di ironia con cui Watzlawick li presenta nel suo libro.
    Riguardo alle illusioni e al loro significato per l'esistenza umana, credo che ci stiamo muovendo nella delicata sfera dei punti di vista. Anch'io non riuscirei a vivere senza una speranza o una prospettiva di felicità. I problemi però possono sorgere quando ci si lascia travolgere da esse, finendo per cadere rovinosamente nella realtà, non sempre però.
    Ecco, forse proprio nella possibilità dell'eccezione a questa visione pessimistica possiamo vedere un piccolo appiglio, altrimenti non ci sarebbe via di fuga dal pessimismo assoluto.
    Grazie anche del rimando a Horkeheimer e Adorno, autori che conosco ma che devono sempre più essere approfonditi in un periodo di crisi generale come quello che stiamo vivendo adesso. Molto probabilmente non ci indicheranno la via d'uscita da essa, però porsi domande e riflettere con loro è il minimo che possiamo fare. Sicuramente ci sarà il tempo e il modo di discutere specificatamente su loro e sugli altri autori della Scuola di Francoforte.
    A presto!

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  4. "Apra dunque le orecchie! Bene. E ora lei non sente soltanto un Handel storpiato dalla radio, ma pur sempre divino, anche in questa forma ributtante, lei sente e vede, mio caro, anche una bellissima similitudine della vita. Quando lei ascolta la radio, ascolta e vede il conflitto primordiale tra idea e fenomeno, fra tempo ed eternità, fra il divino e l'umano. Proprio come la radio lancia la più bella musica del mondo per dieci minuti a casaccio negli ambienti più impensati, in salotti borghesi e soffitte, fra abbonati che chiaccherano, si rimpinzano, sbadigliano e dormicchiano, come la radio priva questa musica della sua bellezza sensibile, la sciupa, la graffia, la scatarra e tuttavia non può sopprimerne lo spirito: esattamente così la vita, la così detta realtà, manipola le stupende visioni del mondo, fa seguire a Handel una conferenza sulla tecnica dei bilanci falsi nelle medie industrie, fa dei suoni affascinanti di un'orchestra una poltiglia ripugnante, insinua la sua tecnica, il suo affanno, la sua vanità e miseria fra l'idea e la realtà, fra l'orchestra e l'orecchia. Tutta la vita è così, caro mio, e bisogna prenderka com'è; e chi non è asino ci ride. La gente come lei non ha il diritto di criticare la radio o la vita. Impari prima ad ascoltare! Impari a prendere sul serio quel che merita di essere preso sul serio, e a ridere del rimanente! O ha fatto qualche cosa di meglio, qualche cosa di più nobile, di più savio, di più fine? Nossignore, non l'ha fatto. [...]
    Ma è ora di finirla di fare il sentimentale e l'omicida. Metta giudizio finalmente! Lei deve vivere e imparare a ridere. Deve imparare ad ascoltare questa maledetta musica della radio della vita, deve rispettare lo spirito che vi si cela e ridere di questo strimpellio. Altro non è richiesto."
    Il Lupo della Steppa, H. Hesse

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