Preoccupato per l'incerto futuro assicuratomi dalla mia (prossima) laurea in filosofia ho cercato rifugio nella sopracitata opera sgalambriana consigliatami da un amico, anch'egli miserando-laureando in filosofia.
Cos'è la consolazione? Perchè ne abbiamo continuamente bisogno? Per Sgalambro è un fenomeno straordinario e misterioso allo stesso tempo. Straordinario in quanto rivela 'la sconfinata pietà per tutti gli esseri viventi' che è in noi e che ci porta a rispondere ad un appello d'aiuto. "Se ci chiediamo come sia possibile la presenza della pietà in questo mondo, noi non sappiamo rispondere. Ma questo dà un indizio, ci dice almeno che essa non nasce nè da questo nè da nessun altro mondo. Essa c'è perchè c'è, invece. Perchè è l'estraneo che ti trascina per i capelli alla pietà. Qui è il miracolo. Allo stesso modo la consolazione. Ci sentiamo come strappati a noi stessi, condotti con violenza a quell'altro e, con nostra stessa meraviglia, gli diamo tutto quello che possediamo".
Attenzione qui a non disperderci nella melassa della filosofia morale tradizionale: per Sgalambro l'uomo e soprattutto il filosofo, sono impotenti, cioè non possono fare nulla di concreto per cancellare dolori e preoccupazioni. "La consolazione è la pietà che non si estrinseca con atti ma con parole. E questo perchè l'agire non è più possibile. L'agire è ormai impotente. La coscienza morale potrà solamente consolare. Insomma, la consolazione sostituisce la compassione. Derisoria cosa, si! Ma il fato ci trascina".
Perchè non si può più agire? Perchè se ci fosse ancora speranza nell'azione il consolato non sarebbe più tale, dato che non sarebbe disperato e non avrebbe bisogno di consolazione. Quindi, continua Sgalambro, "la consolazione è la fonte di quel che solamente ci è possibile: parole, ahimè. Ma perchè 'ahimè'? Lo abbiamo detto: beatitudine estrema oppure, in quel che ci è dato, unica cosa possibile. Si scelga". Sgalambro è consapevole della possibile insoddisfazione di questo aut-aut: o la morte, come unico rimedio alle sofferenze, o un breve quanto illusorio paradiso fatto di parole. Ed infatti lo rivela quando evidenzia il limite della consolazione, cioè "la rabbia di non potere altro. E' il limite insito nella parola. Tu ti protendi con tutto te stesso verso un altro, eppure non puoi che schiacciarlo". Ma non è cosa di poco conto riuscire, se pur per breve tempo fare breccia nella preoccupazione, nel dolore e nella sofferenza umana. Come riuscire in ciò? Bisogna saper "aspirare il consolato con la forza del discorso ma, soprattutto, con la risposta al suo appello. Bisogna anzitutto che il discorso lo scuota, introduca un turbamento nella sua compatta disperazione. Un fremito, ed è fatta. Ammesso che il consolatore ignori tutto di lui, al discorso consolatorio non occorrono particolari. 'Tu vivi? Allora so tutto di te' dice il consolatore".
Il mistero della consolazione consiste invece nel fatto che essa agisce segretamente nel consolato e nello stesso consolatore, uniti dalle stesse miserie. Citando Seneca, la consolazione sublime per Sgalambro è sapere di "essere coinvolto nella distruzione universale. Cioè sapere che tutti saremo distrutti e inghiottiti in un abisso senza fine". Perchè questa consapevolezza, in tutta la sua catastroficità, riesce a consolarci? Perchè - continua Sgalambro - "essa non ci consola della nostra fine miseranda, ma ci consola proprio con la nostra fine miseranda. Una consolazione siffatta è come se si consolasse un malato in balia di sofferenze mortali dicendogli: 'Ne hai per poco, tra poco crepi'. Eppure è vero: se a un malato in preda alle sofferenze dell'agonia si riuscisse a fare capire che tra poco tutto sarà finito, ebbene, quale consolazione migliore di questa egli può attendersi? [...] Perchè ne sei consolato? Il desiderio di essere disperato esprime il rapporto con la verità perchè la verità ti è contro. Tu hai una certezza, la certezza che la verità ti è contro. Nello stesso tempo questo ti consola, ti consola perchè è una certezza. Nello stesso tempo tu sei in pace. Sei disperato ma in pace".
E' il volto terribile della verità: essa ci spaventa, siamo certi di essere destinati ad essa così come a miserie e dolori indicibili, anzi l'unico modo per giungere ad essa sono proprio gli stessi dolori e miserie. Ma è questa la nostra unica certezza: "la verità ci è contro, incute spavento, ma sono certo che è questa la verità. Perchè oggi non si ha nessuna certezza o, per andare più a fondo, perchè non si ha più nessuna verità? Perchè la verità è che la verità ci è contro. Perchè la certezza matematica è che la verità ti è contro e che per te è finita".
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