giovedì 9 dicembre 2010

Sartre e l'amour

Ahhh l'amour! Fonte di gioie e dolori, in misura proporzionale alla nostra maggiore tendenza a gioire o soffrire... Tuttavia, anche nelle situazioni che mettono più a dura prova i nostri sentimenti, un rimedio, per quanto mi riguarda, c'è: rifletterci, pensarci su, cercare un senso a tutto ciò che ci succede. Per molti potrà essere una forma di masochismo, ma per me si tratta di una vera e propria decostruzione depotenziante di ciò che ci affligge e, perché no, il preludio ad una reazione-nuova azione (che non necessariamente può portare al meglio, ma questo è un altro discorso).

Al di là delle mie divagazioni, come avete capito stavolta affrontiamo l'amore interpretato nell'ottica ontologico-esistenziale di Jean-Paul Sartre. Il testo di riferimento è naturalmente Essere e nulla, pietra miliare della filosofia contemporanea. Una breve introduzione: dopo aver esaminato nelle sue principali dimensioni e manifestazioni l'uomo, unico protagonista della ricerca del famigerato essere, che potremmo grossolanamente definire come il senso della nostra esistenza e/o suo fondamento, Sartre esamina le dinamiche concrete con cui ci relazioniamo ai nostri simili . Ciò che accomuna tutti i nostri comportamenti, secondo Sartre, è la conflittualità, dato che non può trattarsi di "relazioni unilaterali con un oggetto in-sè, ma di rapporti reciproci e mobili. Mentre io tento di liberarmi dall'influenza d'altri, l'altro tenta di liberarsi dalla mia, mentre io tento di soggiogare l'altro, l'altro tenta di soggiogarmi".

La ragione di questa conflittualità connaturata a qualsiasi relazione è dovuta al fatto che "io sono posseduto dall'altro; lo sguardo d'altri forma il mio corpo nella sua nudità, lo fa nascere, lo vede come io non lo vedrò mai. L'altro possiede un segreto: il segreto di ciò che sono. Mi fa essere. L'altro è per me insieme ciò che mi ha rubato il mio essere e ciò che fa in modo che vi sia un essere che è il mio essere. Così rivendico l'essere che sono; voglio riprenderlo". Tuttavia, c'è un ostacolo insormontabile nella realizzazione di questo progetto: la libertà dell'altro e la conseguente impossibilità di assoggettarlo pienamente a me. Per cui, qualsiasi nostro progetto che implichi un altro, non può che basarsi sulla conflittualità, dato che ci pone in "legame diretto con la libertà d'altri. E' in questo senso che l'amore è conflitto. Il mio progetto di riprendere il mio essere non può realizzarsi se io non mi impadronisco di questa libertà e non la riduco a essere libertà sottomessa alla mia libertà".

"Perché l'amante vuole essere amato? Se l'amore fosse puro desiderio di possesso fisico, potrebbe essere, nella maggior parte dei casi, facilmente soddisfatto. Invece è della libertà d'altri in quanto tale che vogliamo impadronirci. Chi vuole essere amato non desidera di asservire l'essere amato. Non vuole possedere un automa. L'amante pretende un tipo speciale di appropriazione. Vuole possedere una libertà come libertà. L'amante vuole essere amato da una libertà e pretende però che questa libertà come libertà non sia più libera. Vuole che la libertà dell'altro si determini da sè ad essere amore e, insieme, che questa libertà si imprigioni da sé per volere la sua prigionia. E questa prigionia deve essere insieme rinuncia libera e incatenata nelle nostre mani. Per quanto lo riguarda, l'amante non pretende di essere la causa di questa modificazione radicale della libertà, ma di esserne l'occasione unica e privilegiata. Nell'amore l'amante vuole essere tutto il mondo per l'amata".

"[...] Se l'altro mi ama, io divento l'insuperabile, il che significa che devo essere il fine assoluto. L'oggetto che l'altro deve farmi essere, è un centro di riferimento assoluto intorno al quale si dispongono come puri mezzi tutte le cose-utensili del mondo. Se devo essere amato, sono l'oggetto per opera del quale il mondo esisterà per l'altro. Invece di essere un questo che si stacca dallo sfondo del mondo, sono l'oggetto-sfondo dal quale il mondo si stacca. [...] Mentre, prima di essere amati, eravamo inquieti per questa protuberanza ingiustificata, ingiustificabile che era la nostra esistenza, mentre ci sentivamo "di troppo", ora sentiamo che questa esistenza è ripresa e voluta nei minimi particolari da una libertà assoluta che essa condiziona nello stesso tempo e che proprio noi vogliamo con la nostra libertà. E' questo il fondo della gioia d'amore, quando c'è: sentirci giustificati di esistere".

Tuttavia, anche questa sopraelevazione ontica e spirituale allo stesso tempo è distruttibile in quanto "le relazioni amorose sono un sistema di rimandi all'infinito sotto il simbolo ideale del valore amore, cioè di una fusione delle coscienze in cui ciascuna di esse conserverebbe la sua alterità per fondare l'altro". C'è sempre un nulla impercettibile che separa i due amanti, anche negli attimi della fusione più totale che ci sia data, dato che anch'essa spesso si rivela sfuggente, misera, vacua in quanto inevitabilmente materiale e finita (ma su questo punto ritorneremo). "L'amore è dunque uno sforzo contraddittorio: il problema del mio essere-per-altri rimane senza soluzione, gli amanti rimangono ciascuno per sé in una soggettività totale; niente toglie loro la contingenza e li salva dalla fatticità. Inoltre il loro guadagno può essere continuamente compromesso: a ogni istante, ciascuna coscienza può liberarsi dalle sue catene e contemplare improvvisamente l'altro come oggetto. Allora la magia cessa, l'altro diventa mezzo tra altri mezzi; l'illusione, il gioco degli specchi che forma la realtà concreta dell'amore, cessa improvvisamente". Amara quanto cruda verità.

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