martedì 25 gennaio 2011

Tra sesso e castità

Per Liberareggio.org

Le "piccanti" gesta del nostro Presidente del Consiglio sono, come ben sapete, tornate alla ribalta della gogna mediatica. Periodicamente abituati a sorbirci simili chiacchiere e scontri politico-ideologico-erotici, ormai non ce la facciamo neanche ad indignarci più di tanto. Ma l'argomento su cui volevo incentrare quest'intervento non riguarda i più squallidi dettagli su come e quante volte B. abbia consumato con le varie Ruby "rubacuori". Ciò che mi preme analizzare è l'insopportabile ipocrisia e bigottismo di quei tanti moralizzatori che, se solo avessero un quarto di soldi, potere e privilegi di cui gode B. chissà cosa combinerebbero.
Sia chiaro: con questo non intendo minimamente giustificare i comportamenti di un settantacinquenne (il quale per la posizione da lui ricoperta è ingiustificabile, per non dire di peggio) che, molto probabilmente, se la fa con le minorenni; piuttosto sarebbe utile cominciare a scalfire quell'insopportabile ghigliottina che incombe sulla sessualità confenzionataci da quel mix di bigottismo, finto perbenismo e clericalismo che tanti danni continua a procurare alla nostra civiltà (e la recente condanna dell'educazione sessuale da parte del Papa, del tutto cieco nei confronti di un problema serissimo chiamato AIDS, la dice lunga a riguardo).

Ma cos'è davvero per noi questa benedetta (o maledetta) sessualità? Quali sono le radici storiche che ci hanno portato allo stato attuale di cose, ovvero di repressioni che, inevitabilmente, portano con sé trasgressioni, eccessi, nevrosi e malattie? Perché non riusciamo a svincolarci definitivamente dalle grinfie della condanna clericale della sessualità responsabile, a mio avviso, proprio di quegli stessi problemi che si vorrebbero risolvere rifiutandoli, espungendoli come se nulla fosse? Per tentare di rispondere a simili domande vi propongo alcuni stralci di un saggio, intitolato “Il rifiuto del piacere”, di uno dei massimi storici del Medioevo, Jacques Le Goff.

Per opinione comune la tarda Antichità segna una svolta fondamentale nel modo di concepire e di praticare la sessualità in Occidente. Mentre nell'Antichità greco-latina la sessualità e il piacere carnale erano considerati valori positivi e dappertutto regnava una grande libertà sessuale, vediamo in seguito subentrare una condanna generalizzata della sessualità e una rigida regolamentazione del modo di esercitarla. Fattore principale di tale ribaltamento è il cristianesimo.

[…] Con l'avvento del cristianesimo, una delle prime novità consiste nel collegamento fra la carne e il peccato. Non che l'espressione “peccato carnale” sia frequente nel Medioevo; ma è già visibile il processo che porterà durante l'intero Medioevo, mediante uno slittamento di significati, a servirsi dell'autorità suprema, la Bibbia, per giustificare la repressione della maggior parte delle pratiche sessuali. L'eredità biblica non aveva lasciato alla dottrina cristiana un pesante bagaglio di repressione sessuale. L'Antico Testamento, spesso indulgente sotto questo aspetto, aveva concentrato la repressione della sessualità nei divieti rituali enumerati nel Levitico (15 e 18). Nel Nuovo Testamento i Vangeli sono molto discreti sulla sessualità. Fanno l'elogio del matrimonio, purché sia monogamico e indissolubile. La carne non è assimilata a un'attività sessuale peccaminosa: essa in fondo designa soltanto, come dice il Vangelo di Giovanni, la natura umana. Per Paolo, l'appello alla verginità e alla continenza si fonda sul rispetto del corpo umano. Nel Medioevo, invece, la demonizzazione della carne e del corpo, assimilati a luoghi di depravazione, al centro della produzione del peccato, toglierà al corpo ogni dignità.

[...] Fra il tempo dei Vangeli e il trionfo del cristianesimo (secolo IV), due serie di avvenimenti assicurano il successo della nuova etica sessuale: sul piano teorico, la diffusione dei nuovi concetti di carne, fornicazione, concupiscenza, e la sessualizzazione del peccato originale; sul piano pratico, l'apparizione di uno status virginale fra i cristiani e la realizzazione dell'ideale di castità nel monachesimo. Per quanto riguarda il concetto di carne l'essenziale consiste nell'inasprimento della contrapposizione carne/spirito, che porta verso la nozione di carne debole, corruttibile, e del significato di carnale verso quello di sessuale.
Ma più importante è la lunga evoluzione che condurrà ad assimilare il peccato originale al peccato carnale. Nella Genesi il peccato originale è un peccato dello spirito, che consiste nel concepire l'appetito della conoscenza e nel disubbidire a Dio. Clemente di Alessandria è il primo ad accostare il peccato originale all'atto sessuale; ma fu Agostino a collegare definitivamente il peccato originale con la sessualità, attraverso la concupiscenza. A partire dai figli di Adamo ed Eva il peccato originale viene trasmesso all'uomo mediante l'atto sessuale. Tale concezione diverrà generale durante il secolo XII: nella volgarizzazione operata dalla maggioranza dei predicatori, dei confessori e degli autori di trattati morali, questo slittamento arriverà fino all'assimilazione del peccato originale al peccato carnale. L'umanità è stata generata nella colpa, insita in ogni accoppiamento a causa della concupiscenza che inevitabilmente vi si manifesta.

[…] La nuova etica sessuale è, in definitiva, solo la forma più diffusa e spettacolare di un tema storico che il cristianesimo ha ripreso per farlo pesare sull’Occidente: il rifiuto del piacere. […] Il Medioevo (dobbiamo forse vedervi un segno di ‘imbarbarimento’?) ha sempre più nella mira i peccati della carne, li stringe in una rete sempre più fitta di definizioni, divieti e sanzioni. Per correggerli, alcuni esponenti della Chiesa redigono i penitenziali, elenchi di peccati e penitenze in cui aleggia lo spirito dei codici barbarici. I peccati carnali vi occupano il posto di gran lunga maggiore, rispecchiando così gli ideali e i fantasmi dei militanti monastici. Disprezzo del mondo, umiliazione della carne: il modello monastico ha decisamente pesato assai sui costumi e sulle mentalità dell’Occidente.

[…] Anche nella sfera della sessualità è evidente il manifestarsi – almeno agli occhi della Chiesa – di una separazione sociale e culturale fra chierici e laici (nobiltà compresa) da un lato, e fra i due ordini dei chierici e dei cavalieri e quello dei lavoratori – soprattutto contadini – dall’altro. Il disprezzo per i villani [che legittima il dominio “ammantato” dalla promessa della salvezza spirituale] trova dunque alimento anche nel sesso. Sono due le credenze che si diffonderanno durante il Medioevo. Anzitutto la malattia ossessionante e colpevolizzante, la malattia-assillo (come sarà la peste alla metà del secolo XIV), la lebbra, trova la sua origine nella sessualità colpevole. E poi c’è questa fissazione dell’eccesso di spudoratezza sessuale nel mondo degli illitterati, dei poveri, dei contadini. Non è un caso che il servaggio esprima le conseguenze del peccato originale nella società cristiana medievale. Più di ogni altro schiavi della carne, i servi meritano di essere anche schiavi dei signori. Quale miglior barriera poteva essere istituita fra chierici e laici di quella della sessualità? Ai laici il matrimonio e la lussuria, ai chierici la verginità, il celibato e la continenza. Un muro separa la purezza dall’impurità. In una simile deformazione, la parte dominata della società viene presentata come la parte dei deboli, degli abulici, senza ragione, ma anche senza volontà. In quel mondo di guerrieri i villani sono quasi animali, giocattoli alla mercé di cattivi desideri.

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