Come alcuni di voi sapranno, sono da poco emigrato in terra veneta per motivi di studio. Anche se si tratterà (credo) di un soggiorno temporaneo, è pur sempre una bella 'botta' per chi, come me, aveva trascorso tutti gli anni della sua vita nella propria città natale, accompagnato dalle persone più care. Come al solito, non ho potuto fare a meno di trarre uno spunto di riflessione da ciò che sto vivendo per cercare un raffronto e, perchè no, qualche consiglio utile da qualcuno dei miei venerati filosofi che, nel nostro consueto appuntamento, vi propongo.
La cosa che più di tutte mi ha impressionato prima della partenza è stata leggere negli occhi dei miei familiari e dei miei inseparabili amici un profondo senso di tristezza. Dico tristezza piuttosto che dispiacere empatico perchè, mentre quest'ultimo rimanda più ad una compassione verso l'altro destinata a fermarsi ad un livello superficiale, ciò che in loro traspariva era qualcosa di più intimo, proprio come una 'egostica' perdita di una parte di loro stessi. Ed è stato proprio questo ad avermi colpito: rendermi conto di quanto la nostra esistenza possa essere condizionata e legarsi a ciò che le è esterno, al punto tale da aver paura di privarsene come se si venisse amputati di un pezzo di sè stessi, nonostante l'impossibilità strutturale di 'impadronirci' dell'altro sia evidente. Ma lasciamo ora che sia qualcun altro a parlarci della tristezza.
"La tristezza non è mai uno straripamento, ma uno stato che si spegne e muore. Ciò che la caratterizza in modo estremamente significativo è la frequenza del suo insorgere dopo i supremi appagamenti e compimenti vitali. Perchè essa fa seguito all'atto sessuale, perchè si è tristi dopo una sbornia formidabile o un eccesso dionisiaco, perchè le grandi gioie sono foriere di tristezza? Perchè di tutto lo slancio consumato in questi eccessi restano solo il sentimento dell'irreparabile e il senso di perdita e abbandono, contrassegnati da una fortissima intensità negativa. La tristezza insorge ogni volta che la vita si dissipa. La sua intensità eguaglia l'entità delle perdite subìte.
[...] La vita non è che una prolungata agonia. E la tristezza mi sembra rispecchi qualcosa di questa agonia. Il contrarsi del volto che essa provoca non ne è un riflesso? Il viso di chi è colpito da un'intensa tristezza mostra dei segni che sembrano scavare nell'essenza stessa dell'essere. Nella tristezza il volto emana una tale interiorità che il visibile apre una porta sull'anima. (Fenomeno che si manifesta anche nelle grandi gioie)" (E.M. Cioran, Al culmine della disperazione par. 53)
Già, le grandi gioie. Confesso di averne vissute parecchie, la maggior parte coi miei 'sgangherati' amici. Penso spesso a loro in questi giorni: alle cavolate fatte assieme, a come sia cambiato tutto nella nostra vita tranne la certezza di poter contare l'uno su l'altro e, soprattutto, a quante piccole cose ci meriteremmo di più e di cui, putroppo, ce ne siamo dovuti privare. Per questo voglio dedicare loro, a mò di esortazione fraterna, questi accorati versi per cercare di vivere, il più possibile, senza rimpianti.
"Che cosa è mai decisione? La scelta; no, scegliere riguarda sempre qualcosa che è già dato prima, qualcosa che si può prendere o respingere. De-cisione significa qui fondare e creare, avere a disposizione, rinunciare o perdere, prima e al di là di sè. Chi decide? Ognuno, anche senza prendere alcuna decisione e senza volerne sapere, eludendo la preparazione. Di che cosa si decide? Di noi stessi? Noi chi? Ma perchè si devono prendere decisioni? Che cos'è decisione? La necessaria forma di attuazione della libertà. Decisione, in quanto atto dell'uomo, vista come un processo, nelle sue conseguenze.
[...] Solo ciò che è vissuto e che si può vivere come un'esperienza, ciò che pro-rompe nell'orizzonte del vivere esperienze, ciò che l'uomo è capace di portare a sè e di fronte a sè, può valere". (M. Heidegger, Contributi alla filosofia par. 46 e 63)
E, last but not least, un ringraziamento va ai miei genitori per avermi regalato questa straordinaria occasione nonostante i mille sacrifici che un pò tutti noi poveri stronzi dobbiamo sobbarcarci in un periodo come questo, oltre ad avermi fatto diventare ciò che sono. Sarei però un ingrato, dopo tutta questa smielata prosopopea, se non ringraziassi anche tutti voi frequentatori di questo blog che, piano piano, va avanti, sempre consapevole delle tante, tantissime cose di cui mi piacerebbe parlarvi.
Infine, tornando sulle sofferenze e sui sacrifici inevitabili, forse possiamo vedere le cose sotto un'altra luce, quantomeno per non piangerci solo addosso...
"Così come oggi siamo, possiamo sopportare un buon numero d'afflizioni, e il nostro stomaco è attrezzato al cibo pesante. Forse, senza di esse, troveremmo scipito il banchetto della vita; e senza la buona volontà del dolore, dovremmo lasciarci sfuggire fin troppe gioie." (F. Nietzsche, Il coraggio di soffrire par.354 in Aurora).
sono lusingata per il tuo gentile pensiero e orgogliosa per quello che sei diventato e che diventarai e cioè un uomo 'illuminato'.ma sono io che ti ringrazio per tutto il dolce affetto e la sensibilità profonda con cui hai colorato le mie giornate da quando sei nato!ti voglio (e lo sai)un mare di bene!ti abbraccio
RispondiElimina