Per liberareggio.org
Ieri sera, tornando a casa dopo essere stato a Piazza Duomo, mi è venuto in testa il ritornello della sopracitata canzone degli Afterhours che fa: "Chi salverà/ la mia città?". Ebbene, l'acceso dibattito che ieri s'è venuto a creare ad "Annozero" non poteva fotografare meglio l'aria che si respira a Reggio. Le persone oneste sono con l'acqua alla gola, sono stanche non soltanto di subire passivamente il potere della criminalità organizzata che ci tiene (questa sì) "sotto scopa" con l'atavica fame di lavoro che c'è in Calabria, ma sono stanche soprattutto di non essere ascoltate, di vedere che il resto dell'Italia non se ne fotte minimamente di loro. Politici in primis, gli stessi personaggi che periodicamente scendono dalle loro ricche corti per fare promesse su promesse e per chiedere i nostri voti (e qui mi riferisco indiscriminatamente a tutta la classe politica).
Ieri sera Daniela Santanchè, esponente del governo nazionale in qualità di sottosegretario di Stato al Dipartimento per l'attuazione del programma di governo, è caduta dalle nuvole: non sapeva delle recenti vicissitudini di Scopelliti; non sapeva che Angela Napoli aveva da tempo preso le distanze dal PDL; continuava a farfugliare che "questo è il governo che ha fatto di più ecc ecc" ed è riuscita a mandare in bestia anche de Magistris che, come sappiamo, ne ha subìte di tutti i colori però sempre mantenendo il suo contegno; non ha detto una parola di solidarietà per quei giornalisti vessati e minacciati di morte; non ha saputo, insomma, dire qualcosa per cercare di aiutare una città che implora aiuto.
Ma noi non possiamo più aspettare. Chi campa di speranza disperato muore, recita un proverbio comune. Se non riusciamo a ribellarci noi per primi ai perversi giochetti a cui, indistintamente politici e 'ndranghetisti, ci sottopongono c'è poco da fare. Ho accennato a de Magistris. A prescindere dalle sue scelte politiche che, ci mancherebbe altro, ciascuno di noi è libero di non condividere, anche la sua è una storia che avrebbe dovuto insegnarci molto su come funzionano le cose nel nostro Paese. Per questo vi lascio con alcune sue considerazioni tratte da "Assalto al PM. Storia di un cattivo magistrato".
"Nel corso degli anni mi sono reso conto di come la Calabria assomigli al Sudamerica di una volta: una regione governata da una vera e propria "classe". E' una classe di potere. Intrisa anche di mafiosità. E' composta da una parte importante e assolutamente trasversale della politica, che ha a cuore solo interessi di settore. Gruppi di potere che operano per puro interesse e con logiche biecamente clientari. Comprende una parte consistente dei principali imprenditori, diventati potenti, ricchi, noti e forti grazie al loro rapporto con la politica. Una situazione che potrebbe apparire simile a quella di altre parti del paese. Ma la vera anomalia, in Calabria, è che in questa classe compaiono, in modo non residuale, pezzi significativi delle istituzioni ed anche parti degli organi preposti ai controlli di legalità: impiegati e funzionari pubblici, forze dell'ordine, servizi di sicurezza. Quando il controllore diventa "organico" in un sistema cui partecipa anche il controllato, le garanzie di legalità e di trasparenza saltano, spazzate via da un conflitto di interessi permanente.
La classe dominante che ho descritto governa la Calabria da decenni tenendo in una situazione di voluta soggezione e sottomissione il resto della popolazione calabrese, che non ha la capacità di riscattarsi perchè non ha gli strumenti economici nè quelli politici e nemmeno istituzionali, dal momento che attraverso il controllo dell'economia e del lavoro la borghesia mafiosa controlla anche il voto. Ma soprattutto, almeno fino a un certo momento storico, la Calabria non ha avuto gli strumenti cognitivi per opporsi. Perchè?
Perchè la conoscenza di certi contesti avviene attraverso due canali: la magistratura e l'informazione. Le indagini giudiziarie consentono al cittadino di sapere se i propri governanti stanno rubando, stanno truffando, sono corrotti o infedeli e così via. Se la magistratura non funziona la gente non sa cosa di illecito accade nella vita pubblica. Poi c'è l'informazione. In questo settore la Calabria, fino a un certo punto, ha molto sofferto un controllo serrato, una "cappa mediatica" che non consentiva ai cittadini, dentro e fuori la regione, di sapere cosa accadeva. Con il tempo questa situazione è migliorata perchè sono nati nuovi organi di informazione e alcuni giornalisti seri e coraggiosi, spesso molto giovani, sono riusciti a raccontare i fatti. La consapevolezza e la partecipazione sociale sono mutate proprio quando questi cronisti, facendo bene il proprio mestiere, hanno cominciato a rendere una descrizione veritiera e non condizionata dalle azioni giudiziarie che venivano intraprese. La conoscenza dei fatti stimola il pensiero libero e critico e questo fa paura ai ceti dominanti affaristici e corrotti".
Insomma, chi salverà la mia città?
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