Non mi piacciono le autocelebrazioni. Però una laurea è pur sempre una laurea, per diamine! E allora eccomi qui, a darvi un "antipasto" della mia tesi di laurea, incentrata sull'estetica di Benedetto Croce che non esito neanche un momento ad identificare come il mio ideale di filosofo (sebbene sia consapevole della velleità che c'è dietro alle idealizzazioni ed emulazioni: si finisce sempre per rincorrere qualcuno che, inevitabilmente, non si potrà mai raggiungere).
L'estratto che tra poco vi proporrò è tratto da un'opera del 1933, "La poesia", in cui Croce riesamina e puntualizza i concetti fondamentali della sua estetica (che troverete riepilogati sinteticamente nella mia tesi, ovviamente se ne avrete voglia). Croce prende in considerazione il famigerato luogo comune dell' "arte per l'arte", ovvero dell'amore disinteressato che ogni artista dovrebbe avere rispetto al proprio ufficio sacro: l'espressione. Tuttavia, ed è un'altra lezione che ho imparato da Croce, nulla di quello che gli uomini fanno è veramente disinteressato: laddove non c'è un minimo di guadagno personale, statene certi, chiunque gira al largo! Anche la solidarietà implica un'attrattiva individuale, quale può essere l'intima gratificazione per chi la fa...Infine, permettetemi di definire sublime il parallelo crociano fra l'amore e l'espressione artistica. E' forse uno degli aspetti che mi ha colpito di più della filosofia di Croce: le sue riflessioni, alla portata di tutti in quanto a linearità e semplicità, sono incastonate di piccole gemme poetiche arricchiscono la sua speculazione senza però appesantirla, anzi chiarendola ulteriormente. Ma è tempo di far parlare il "nostro" Croce:
- L'arte per l'arte -
"L'espressione poetica può trapassare ad oggetto d'amore e di culto d'amore ed essere trattata non più come espressione, ma come cosa che si ricerchi per sè, facendo, come si dice, l'arte per l'arte.
Come ogni amore, anche questo ha per fondamento la realtà di un bisogno, e, nel suo caso, dell'espressione poetica; ma come ogni amore si svolge oltre, e anche senza e contro, il soddisfacimento del bisogno originario. Così come si amano, e si amano sul serio, donne che non si ha nessuna volontà di possedere, sentendosi che nel possesso andrebbe perduto il meglio o il tutto dell'amore e quell'incantesimo si rompererebbe.
[...] Ma, soffermandoci all'amore per le espressioni poetiche, esso, al pari di ogni altro amore, ricerca la presenza e il contatto dell'oggetto amato, e perciò si fa culto ed esercizio di quelle espressioni, non solo senza aver nulla di proprio da trasfigurare in bellezza. Qualcosa di analogo si riscontra nella cerchia del pensiero, dove talvolta ci si trastulla col pensiero per il pensiero, ossia con la logica per la logica, come nel caso delle acutezze o degli indovinelli, e in parte anche nell'altro delle sottigliezze che piace di moltiplicare, delle precise e lunghe argomentazioni superflue che piace svolgere in tutti i loro passaggi, godendo della propria bravura, laddove basterebbe accennare e tirar via.
Amare e cercare le espressioni poetiche come cose o (che qui è lo stesso) come persone, vuol dire cercare le immagini fuori del loro nesso, distaccate ed astratte, e ammirarle e carezzarle e fermarle nei suoni articolati, curando la perfezione di ciascuna d'esse. Che è quel che si vede nelle pagine dei virtuosi dell'arte per l'arte, così perfette in ogni particolare da muovere l'impazienza e il fastidio in uno spirito di poeta, il quale è pronto a gettarle via tutte per esprimersi "senza perfezione" (ossia con tutt'altra perfezione da quella). Perchè in tanto risalto di ciascuna immagine, manca in quella maniera d'arte il fondo che tutte le raccolga e le mitighi, il fondo che solo poteva generarle a vita poetica, e solo dar loro misura e proporzioni. E non solamente manca il fondo poetico, ma anche l'altro su cui la letteratura si forma e che è il vario contenuto extrapoetico [ovvero, le passioni, gli impulsi, gli interessi dell'artista in quanto uomo]. Stanno invece, quelle immagini singole, come idoli, che l'artista [o lo pseudo-artista, quello cultore della sola forma, destinato per questo a rinchiudersi nella più totale autorefenzialità] plasma e adora.
Per questa via s'intende anche in qual modo si venga determinando una sorta di teoria dell' "arte per l'arte" a uso di quei critici che pretendono di trovare e spiegare la bellezza di un verso, che è bellezza spirituale [ovvero nella vita, nella contingenza, nella concreta ed ineludibile necessità di esprimersi che l'artista sente quando è gravido di ispirazione], nei suoni per sè, negli accenti, nei ritmi, nella "musica", come la sogliono chiamare, dimostrando, in questo lor dire, scarsa stima, non tanto della poesia, quanto della musica stessa. [...] In questi casi difetta l'amore e, con l'amore, la capacità di dare alle proprie opere quella verità e quella bellezza che pur sono in grado di conseguire. L'arte per l'arte non è che un innamoramento tra gli altri innamoramenti, una servitù d'amore tra le altre servitù d'amore".
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