Ieri notte ho beccato "Full Metal Jacket", uno dei più bei film tra tutti i capolavori kubrickiani. Definirlo un film sulla Guerra del Vietnam sarebbe riduttivo. Il Vietnam non vi appare che marginalmente: ciò che interessava maggiormente Kubrick era rappresentare la follia e la psicocità che contrassegnano qualsiasi tipo di potere e/o istituzione civile. Si tratta quindi di un film non su una guerra ma sulla guerra come prodotto dell'irrazionalità e della follia umana. Irrazionalità e follia che si nutrono, ovviamente della prevaricazione, dell'odio e dell'intolleranza per i nostri simili, ma che mostrano, nella pianificazione di un campo di sterminio o nella costruzione di bombe atomiche capaci di spazzare via intere regioni, una lucidità e una razionalità spaventose, quasi onnipotenti. Non si tratta di tematiche di poco conto: Nietzsche, in "Al di là del bene e del male" scriveva che "La pazzia è qualcosa di raro nei singoli - ma nei gruppi, nei partiti, nei popoli e nelle epoche è la regola".
Per Heidegger, nella nostra epoca in cui si concretizza il totalitarismo della tecnica su tutto ciò che è, uomo in primis, la guerra rappresenta la massima espressione del nichilismo, della violenza e del pericolo che accompagnano da sempre l'essere umano. Gli eserciti non sono che delle fabbriche di "pezzi di riserva" funzionanti anche in tempo di pace, dato che bisogna essere preparati ad ogni evenienza per sostituire i soldati-pezzi "guasti o non più utilizzabili". L'uomo giunge alla piena cosificazione ed anche la morte a cui va incontro in un conflitto atomico non ha nulla di eroico, né di valoroso. Con ciò non ho voluto fare un excursus fine a sé stesso: si tratta di tematiche che traspaiono vividamente da "Full Metal Jacket".
Il film può essere suddiviso in due parti: nella prima il regista descrive magistralmente l'imprescindibile cosificazione ed omologazione degli individui che dovranno formare l'esercito americano. Le giovani reclute non potranno, né dovranno pensare individualmente, ma come un corpo solo. Perciò, l'unica cosa che sono tenuti a fare è obbedire agli ordini del capo-addestratore, il funambolico Generale Hartman, il cui compito è quello di formare "non dei robot, ma dei killer" e di stremare in qualsiasi maniera le reclute per scremare gli inetti. In quest'ottica, Palla di Lardo rappresenta il bersaglio più ovvio quanto più esemplificativo: l'umiliazione, la violenza psicologica a cui viene quotidianamente sottoposto dal Generale alla fine riuscirà a farlo diventare un vero soldato, anche se ciò avverrà a scapito del suo equilibrio psichico, da cui il tragico epilogo dell'ultima notte al campo. Paradossalmente, il Generale Hartman sarà una vittima dell'efficacia del suo metodo di addestramento basato su valori come l'odio, il disprezzo e la "volontà d'uccidere" come via maestra di ogni buon marines.
Nella seconda parte inizia ad emergere il protagonista della narrazione: Joker. Personaggio quantomai complesso ed ambiguo, decide di fare il cronista militare. Stufo della continua manipolazione e delle menzogne propagandistiche che il governo dava in pasto al popolo americano, dicendogli quello che voleva sentirsi dire, ovvero che la "missione di pace" sarebbe stata breve ed indolore per tutti e che il popolo vietnamita era infinitamente grato per la libertà "american-style" loro concessa a suon di bombardamenti e stragi di civili, Joker si fa mandare sul fronte dei combattimenti. Qui intervista soldati sanguinari, come quello sull'elicottero che alla domanda "Ma come fai a sparare su donne e ragazzini?", risponde: "E' facile! Vanno più lenti e miri da più vicino!", ritrova il suo compagno di plotone Cowboy, e combatte al suo fianco, anche se combattuto interiormente ed esteriormente per tutto quello che era stato costretto a vivere. Il tutto ci viene raccontato con l'inconfondibile satira kubrickiana che riesce sia a dissacrare lo schema cinematografico dei seriosi ed eroici film di guerra (ridicolizzando così la guerra in generale e mostrandone l'insulsaggine) sia, soprattutto, a fare riflettere amaramente anche lo spettatore più superficiale.
Giungiamo così al sorprendente finale: la squadra di Joker cade in un'imboscata di un cecchino implacabile. Dopo aver abbattuto quasi metà della squadra, i soldati si dividono tra chi vorrebbe ritirarsi e chi invece non può lasciare invendicata la morte dei propri compagni. Animal si scatena nella caccia del cecchino sanguinario, che alla fine risulterà essere una ragazza viet-cong. Ironia della sorte, il soldato che si ritroverà faccia a faccia con lei è proprio Joker, il soldato pacifista, forse il meno "valoroso" proprio perché non poteva far a meno di pensare alla natura ambigua e contraddittoria dell'uomo, diviso tra bene e male, irrazionalità e ragione. Alla fine Joker esaudisce il desiderio della ragazza agonizzante, finendola a sangue freddo. Ma nonostante le parole dei suoi compagni ("Ora sì che sei un duro Joker!"), ciò che traspare dal suo volto non è che smarrimento, quello stesso smarrimento che sorge in noi dopo aver assistito ad una scena così devastante. Ma in nessuno dei marines di "Full Metal Jacket" può esserci spazio per sentimentalismi e riflessioni: eccoli subito che marciano in mezzo al fuoco dell'inferno, di quell'inferno voluto dalla loro beneamata patria, pensando ancora ad "eiaculazioni notturne e a Jane fica-rotta", ma anche, e soprattutto, alla felicità di essere ancora vivi: "Certo - ci racconta Joker - vivo in un mondo di merda, ma sono vivo e non ho più paura" di essere mandato a morire per qualcosa di follemente razionale.
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